Sono 51 gli atenei italiani nella seconda edizione della classifica ‘QS World University Rankings: Europe’, di cui 24 in miglioramento, 2 stabili e 25 in calo. Nell’edizione 2025, sono presenti 684 università di 43 Paesi.
In testa alla classifica è il Politecnico di Zurigo, che ha scalato una posizione. Segue l’Imperial College di Londra, che è
salito di due posizioni e l’Università di Oxford, che è scesa di due posizioni, perdendo la sua posizione dominante.
L’Italia conta quattro università tra le prime 100 (Politecnico di Milano, Alma Mater di Bologna, La Sapienza di
Roma e l’Università di Padova) e 14 tra le prime 200.
Il Politecnico di Milano è la prima università italiana, salendo di nove posizioni e raggiungendo il 38 posto in classifica.
L’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna (48) si colloca al secondo posto a livello nazionale ed è la seconda università italiana che sale di 30 posizioni, entrando nella top 50. L’unica università con una crescita maggiore rispetto all’anno precedente è l’Università del Salento, che è salita di 65 posizioni, raggiungendo quota 419. La Sapienza di Roma si colloca al terzo posto a livello nazionale e, con 66, scende di un posto. L’Università Cattolica del Sacro Cuore (140) sale di 18 posizioni, entrando nella top 150 europea. Bene Padova, che sale di due posizioni. Per quanto riguarda il Sud, il Politecnico di Bari si piazza dodicesimo in Italia.
Le università italiane superano collettivamente la media europea, eccellendo in particolare nella ricerca: il punteggio
medio delle pubblicazioni scientifiche per membro delle Facoltà, una misura della produttività della ricerca, è pari a 56,9, quasi il doppio della media europea; tuttavia, l’impatto di questa ricerca è leggermente inferiore alla media europea.
Inoltre le università italiane eccellono nei programmi di scambio di studenti, sia in entrata che in uscita, anche in questo caso con risultati ben superiori alla media europea. Va male invece il rapporto docenti/studenti: l’Italia si colloca
con un punteggio che è meno della metà della media europea, evidenziando un problema persistente ancora da affrontare. Anche il numero limitato di corsi tenuti in inglese e gli investimenti relativamente bassi nell’internazionalizzazione contribuiscono a far sì che l’Italia ottenga un punteggio pari solo a un terzo della media europea per quanto riguarda il corpo docente internazionale. La percentuale di studenti internazionali è marginalmente superiore, ma rappresenta comunque circa un terzo della media europea.
Le università italiane sono al di sotto della media europea anche negli indicatori che valutano l’occupabilità dei laureati.
Ciò indica – sottolineano i relatori del report – la necessità di rafforzare i collegamenti tra campus e industria e di migliorare la preparazione al lavoro dei laureati, particolarmente importante nell’era dell’intelligenza artificiale.
Stefania Losito