
Se i dazi imposti dal presidente degli stati uniti Donald Trump dovessero rimanere gli stessi di oggi, al 10%, costerebbero al nostro Paese 3,5 miliardi di euro di mancate esportazioni. Se, invece, dovessero essere innalzati al 20 per cento, il danno economico ammonterebbe fino a 12 miliardi di euro. Sono stime della Cgia di Mestre in base ad elaborazioni Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. I dazi, secondo la Cgia, potrebbero penalizzare, in particolare, l’export del Mezzogiorno. A differenza del resto del Paese, infatti, la quasi totalità delle regioni del Sud presenta una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri. Pertanto, se dopo l’acciaio, l’alluminio e i loro derivati, gli autoveicoli e la componentistica auto decidessero di innalzare i dazi anche per altri beni, gli effetti negativi per il nostro sistema produttivo potrebbero abbattersi maggiormente nei territori dove la dimensione economica dell’export è fortemente condizionata da pochi settori merceologici. Tra le realtà del Mezzogiorno, solo la Puglia presenta un livello di diversificazione elevato (49,8 per cento). Ad esempio, i primi tre prodotti esportati negli Stati uniti nel 2023 dalla regione sono state le macchine industriali e di metallurgia, gli aerei e veicoli spaziali e i mobili per 991 milioni di euro complessivi. Un dato che la colloca al terzo posto a livello nazionale tra le regioni potenzialmente meno a rischio da un’eventuale estensione dei dazi ad altri prodotti. Ad eccezione della Puglia, le aree meno in pericolo sono tutte del Nord. La Basilicata, al contrario, con l’80% dei prodotti esportati concentrato sugli autoveicoli, sarebbe tra le cinque regioni più sofferenti in caso di innalzamento dei dazi.
Stefania Losito