Lo chiamano “inverno demografico”, ed è il fenomeno di diminuzione dei giovani in un Italia sempre più vecchia, che ha perso 3 milioni di nuovi nati nell’ultimo anno. Nel Mezzogiorno la perdita di popolazione giovanile è più accentuata, nonostante la quota di ragazzi sia superiore al resto del Paese del 18,6%. Si registra però una severa flessione con una previsione di perdite MAGGIORI tra mezzo secolo: nel 2061 è infatti stimata una presenza di ultra-settantenni del 30,7% della popolazione meridionale, numero raddoppiato rispetto al Centro-nord. I dati emergono dal report Istat “I giovani del Mezzogiorno”. I ragazzi del Sud hanno un percorso più “lungo e complicato” verso l’età adulta: si dilatano i tempi di uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una famiglia propria, della prima procreazione. Nel Mezzogiorno il 71,5% dei 18-34enni vive in famiglia, contro il 64,3% nel Nord Italia e il 49,4% nell’Ue, con un forte aumento rispetto al 2001. Si sposano e fanno figli più tardi, in vent’anni hanno ritardato la loro vita adulta, in media, di tre anni. Al Sud una donna, nel 2001, si sposava a 28 anni, adesso oltre i 30. E prima a trenta aveva almeno un figlio, adesso bisogna arrivare quasi a 33 anni, con il rischio di interferire con il ciclo biologico della fertilità. Di contro, negli ultimi anni è aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto nel Mezzogiorno: qui, nel 2021, si registrano 58 immatricolati per 100 residenti con 19 anni (56 nel Centro-nord) e 22 laureati ogni 100 23-25enni. La Basilicata fa meglio della Puglia, con almeno 6 giovani su 10 che scelgono l’università. Ma i percorsi universitari dei meridionali sono più lenti e caratterizzati da una significativa “emigrazione studentesca”, sia all’iscrizione, sia nel post-laurea (dopo 5 anni solo il 51% lavora nel Mezzogiorno). il che significa deprivare il Sud di capitale umano con competenze avanzate. ). Per i giovani del Mezzogiorno, la migrazione universitaria, soprattutto verso gli atenei settentrionali, coinvolge oltre un caso su quattro all’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea.
La carenza di opportunità lavorative stabili e di buona qualità nel Mezzogiorno si riduce ulteriormente come il tasso di occupazione, mentre resta molto elevato quello di disoccupazione (23,6% contro il 9,1% nel Centro-nord), soprattutto femminile. Bisogna segnalare la crescita considerevole del lavoro part-time, che fra i giovani meridionali occupati supera un terzo dei casi (36,5%) e che raramente è frutto di una scelta, derivando quasi sempre (74,9% nel Mezzogiorno) dalla carenza di alternative “a tempo pieno”.
La crescente indeterminatezza della “transizione lavorativa” influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali: oltre un giovane su due è insoddisfatto della situazione economica, e un terzo la considera peggiorata. Oltre un giovane meridionale su cinque si dice insicuro verso il proprio futuro. E cresce la quota di cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia di giovani non inseriti in un percorso scolastico o formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa: 43,1% dei 20-29enni inattivi del Mezzogiorno (poco meno di 478mila unità) contro i 26,5% del Centro-nord (circa 350mila giovani).
Stefania Losito