La grande dignità della famiglia del ragazzino: rispettiamo lo Stato, ma non perdoniamo
Tra i tanti omicidi ordinati o a cui ha partecipato in prima persona, circa 150, l’ex boss di Cosa Nostra, Giovanni Brusca, uscito dal carcere di Rebibbia per fine pena dopo 25 anni, ce n’è uno che per efferatezza, forse, li supera tutti. Quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito nel novembre 1993 quando aveva 12 anni, tenuto segregato per più di due anni e poi ucciso nel gennaio 1996.
È vero, Brusca partecipò attivamente alla strage di Capaci, attivando l’esplosione che causò la morte del giudice Falcone, della moglie e della scorta. Ma l’opinione pubblica rimase sconvolta quando emersero i dettagli dell’omicidio Di Matteo.
Brusca, che era già latitante, ordinò il suo rapimento per costringere al silenzio il padre, Santino Di Matteo, ex mafioso diventato nel frattempo collaboratore di giustizia. Le due famiglie si erano frequentate, il bambino conosceva molto bene Brusca e si fidava. Giocavano insieme alla Playstation, ricorda oggi Santino.
Eppure, non ebbe esitazioni a ordinare la sua uccisione quando fu condannato all’ergastolo proprio per le rivelazioni fatte dal padre, che non si fece intimorire. Ordinò di strangolarlo. Erano tre uomini contro un bambino adolescente, che dopo due anni di segregazione, in uno scantinato, non aveva un briciolo di muscolo per opporsi. Lo uccisero in pochi minuti con una corda al collo tenendogli bloccate braccia e gambe. E poi sciolsero il suo corpo nell’acido per far sparire ogni traccia.
Oggi per la famiglia di Giuseppe rimangono i ricordi e le foto a cavallo di quel ragazzino che sognava di diventare fantino. Un sogno infranto dalla mafia. Da Brusca, con cui aveva giocato e riso. Chissà quante volte, il piccolo Giuseppe, in quei due anni di prigionia, si sarà chiesto perché tanta cattiveria nei confronti di un bambino. Cosa aveva fatto di male? Cosa di sbagliato?
Giovanni Brusca, diventato poi a sua volta pentito, tra buona condotta e rivelazioni alla giustizia, si è praticamente risparmiato oltre un anno di carcere.
Eppure, la famiglia di Giuseppe Di Matteo continua a mantenere grande dignità. “Rispettiamo le leggi e le sentenze dello Stato” dice la povera mamma, Franca Catellese, che però ammette di non poter mai perdonare le persone che hanno ucciso il figlio.
“Brusca ha ucciso un bambino che conosceva bene, con cui aveva giocato a casa. Nel mio cuore come posso perdonarlo?” dice. Inoltre, Brusca, durante i processi non ha mai chiesto scusa alla famiglia e non ha mai mostrato alcun pentimento per un omicidio di una così tremenda crudeltà.
Di grande compostezza e dignità anche Nicola Di Matteo, il fratello, che aveva 11 anni quando Giuseppe fu rapito. “Umanamente non potremo mai perdonare. Il dolore per la morte di mio fratello è una ferita che non si rimarginerà mai. Per mia madre la sofferenza è ancora più grande. Ma abbiamo fiducia nella magistratura. Se non rispettiamo questa sentenza non rispettiamo lo Stato” dice.
Gianvito Magistà