Il virus fa sentire i cittadini più fragili e insicuri: quattro su dieci si sentono vulnerabili, e gli studenti, nel post-pandemia, soffrono sempre più di depressione e disagio esistenziale. Tra questi ultimi, l’ultima rilevazione Invalsi ha evidenziato un peggioramento delle performance rispetto al 2019, “ma sarebbe ingeneroso individuare la sola causa nella didattica a distanza”. Sono i dati e i commenti critici pubblicati nel 55esimo Rapporto del Censis, secondo cui dilaga anche l’irrazionalità, che colpisce tre milioni di italiani: “per il 5,9%, infatti, il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E il 5,8% pensa che la Terra sia piatta, mentre per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone”. Per l’istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964, la società ha bisogno “di un progetto per “riprendersi”, altrimenti tenderà alla “fuga nel pensiero magico”. Ed è boom della povertà: nel 2020, 2 milioni di famiglie italiane sono in povertà assoluta, +104,8% rispetto al 2010 (980.000). L’aumento è registrato, al contrario dei luoghi comuni, soprattutto al Nord +131,4% (+67,6% Centro; +93,8% Sud).
Anche durante i giorni dell’emergenza sanitaria, i telegiornali hanno mantenuto la posizione di vertice tra le fonti informative per il 60,1% degli italiani. Sono un riferimento indiscusso per i 65-80enni (73,2%), ma anche per il 42,3% dei 14-29enni. Al secondo posto c’è Facebook, utilizzato dal 30,1% degli italiani negli ultimi 7 giorni a scopi informativi. In generale, gli italiani tornano nel 2021 a seguire la tv tradizionale (il digitale terrestre: +0,5% rispetto al 2019) e quella satellitare (+0,5%), ma aumentano i numeri di web tv e smart tv, che salgono al 41,9% di utenza (+7,4% nel biennio) e della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 a un terzo degli italiani oggi (33,4%), con un aumento del 5,2% solo negli ultimi due anni. Anche la radio continua a rivelarsi all’avanguardia. Complessivamente nel 2021 i radioascoltatori sono il 79,6% degli italiani, stabili da un anno all’altro. Sembra essersi arrestata l’emorragia di lettori di libri: nel 2021 sono il 43,6% degli italiani, con un aumento dell’1,7% rispetto al 2019 (sebbene nel 2007 chi aveva letto almeno un libro nel corso dell’anno era il 59,4% della popolazione). Al contrario, si accentua la crisi ormai storica dei media a stampa, a cominciare dai quotidiani venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67,0% degli italiani, ridotti al 29,1% nel 2021 (-8,2% rispetto al 2019). Lo stesso vale per i settimanali (-6,5% nel biennio) e i mensili (-7,8%).
Si registra ancora un aumento dell’impiego di internet da parte degli italiani: l’utenza ha raggiunto quota 83,5%, con una differenza positiva di 4,2 punti percentuali rispetto al 2019. L’impiego degli smartphone sale all’83,3% (+7,6%) e lievitano complessivamente al 76,6% gli utenti dei social network (+6,7%). Le opinioni sulla presenza in tv degli esperti nei vari campi della medicina è positivo per oltre la metà degli italiani (54,2%), perché sono stati indispensabili per avere indicazioni sui comportamenti corretti da adottare (15,5%) o perché sono stati utili per comprendere quello che accadeva (38,7%). Per il restante 45,8%, invece, virologi ed epidemiologi sono stati inutili e hanno creato confusione e
disorientamento (34,4%) o sono stati addirittura dannosi, perché hanno provocato allarme (11,4%).
Secondo il rapporto, sono sempre meno i nuovi nati, che scendono anno dopo anno sotto la soglia dei 400.000, ed entro trent’anni il Mezzogiorno sarà il territorio con il maggior numero di popolazione anziana. La contrazione registrata dal 2015 è “a doppia cifra per tutte le regioni, a eccezione del Trentino Alto Adige. Tra il 2019 e il 2020 e il trend è continuato. A livello nazionale sono il 3,9% in meno i nati, arrivando a toccare il -4,6% nelle regioni del Nord-Est, tra le più colpite dalla prima ondata della pandemia”. A diminuire di più “sono le nascite nei territori in cui la circolazione del virus è stata più forte: Lombardia -5,5%, Toscana -4,8%. Ma anche i territori più periferici e le regioni più piccole, come Molise (-11,2%), Valle d’Aosta (-7,8%), Sardegna (-6,9%), Umbria (-5,9%) e Basilicata (-5,0%)”.
Entro il 2050, in tutta Italia, la quota degli ultrasessantacinquenni salirà fino al 34%, si legge nel Rapporto. “Si avrà un aumento ancora più significativo nel Mezzogiorno, che passerà dal 26,4% del 2030 al 35% del 2050, diventando così l’area più senilizzata del Paese”, aggiunge ancora il Censis. In particolare, rileva il Rapporto, “il 55,3% degli italiani imputa la principale causa dell’inverno demografico alla difficoltà di trovare una occupazione stabile, mentre il 38,4% sottolinea che le giovani donne che fanno figli sono penalizzate nella carriera professionale”.
“Con riferimento alla scuola e all’università, più di due terzi degli italiani (il 67,2%) ritengono che ci vorra’ meno di un anno per tornare alle lezioni in presenza – evidenzia il Censis – la maggior parte dei cittadini (il 56,3%) pensa che in meno di un anno ci si sposterà senza nessuna restrizione e verrà archiviato l’uso delle mascherine e il distanziamento interpersonale. In ambito lavorativo, invece, per il 41,8% della popolazione occorrerà più di un anno per tornare alla normalità e una quota pari al 17,1% è convinta che non si tornerà mai alla situazione pre-pandemia”.
Stefania Losito