Quasi dodici lavoratori su cento, in Italia, sono poveri. Significa che, pur lavorando, vivono in una famiglia con un reddito netto inferiore al 60% della mediana a fronte del 9,2% dell’Ue. Lo riporta il Rapporto della Commissione del ministero del Lavoro sulla povertà lavorativa, riferito aI dati Eurostat 2019 e quindi precedenti la pandemia. Per lo stesso ministero è il momento di cambiare strategia per sostenere concretamente questi lavoratori. Tra le proposte, l’introduzione di un salario minimo ma anche un sostegno per chi lavora ma ha un reddito troppo basso, una sorta di “in-work benefit”.
Innanzitutto, si legge nella Relazione del Gruppo di lavoro, “bisogna incidere sulle ragioni per le quali si ha un reddito basso che non sono solo legate alla bassa retribuzione oraria ma anche alla durata del lavoro (quante ore si lavora durante la settimana, quante settimane nell’anno) spesso precario, al part time involontario e alle scarse competenze sulle quali agire con la formazione”. “Ma bisogna guardare anche alla composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e al ruolo redistributivo dello Stato”, scrivono ancora i tecnici.
“L’obiettivo è aumentare quantità e qualità del lavoro nel nostro Paese”.
Per garantire minimi salariali adeguati, secondo gli esperti, bisogna estendere i contratti collettivi principali a tutti i
lavoratori oppure introdurre un salario minimo per legge. Una terza opzione prevede una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori.
Il Gruppo di lavoro propone anche di introdurre un in-work benefit: in Italia, infatti, solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una qualche prestazione di sostegno al reddito rispetto al 65% in media europea.
“Dovrebbe essere – si legge – uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il resto del sistema (in particolare,
Reddito di Cittadinanza, ma anche il nuovo Assegno Unico e Universale per i Figli). Sulla base delle esperienze internazionali, il trasferimento dovrebbe essere definito a livello individuale per non disincentivare il lavoro del secondo
percettore. La discussione sulla riforma fiscale – sottolinea lo studio – “rappresenta il luogo ideale per il disegno preciso di questo tipo di strumento”.
Stefania Losito