
Se vuoi conoscere davvero i tuoi figli e la loro identità devi saper usare internet, i social e le piattaforme online. Anche se sei nativo analogico e la tua natura è diversa, che ti piaccia o no (quella dei tuoi figli). Almeno per evitare il cosiddetto “scollamento comunicativo”. Lo afferma Eurispes nel suo studio sul “Rapporto delle persone con il digitale, luci ed ombre di un fenomeno sociale”. Le generazioni analogiche tendono a vedere il tempo in modo sequenziale, narrativo e riflessivo, le generazioni digitali vivono un’esperienza più frammentata, veloce e performativa. I nativi digitali invece, i giovani cresciuti con smartphone, social media e Internet sempre attivo, si trovano a vivere in un tempo che sembra accelerare continuamente, senza intermediari e super accessibile.
In Italia, come riportato nell'”Atlante dell’infanzia a rischio 2023″ di Save the Children, l’eta’ di accesso allo smartphone continua ad abbassarsi, con un aumento rilevante del numero di bambini tra i 6 e i 10 anni che ne fanno uso quotidiano, attestandosi al 30,2% nel 2021-2022. I giovani immersi in flussi digitali costanti diventano piu’ abili nella simultaneità e nel multitasking, ma mostrano anche una crescente difficolta’ a mantenere la concentrazione: uno studio dell’Università Cattolica di Milano (2022) ha rivelato che solo il 21% degli studenti universitari riesce a mantenere l’attenzione su un testo complesso per oltre 20 minuti senza interruzioni digitali; inoltre, i giovani mostrano una maggiore tensione verso l’immediatezza, faticando spesso nella progettazione a lungo termine (carriera, relazioni, educazione).
Secondo Eurispes, il passaggio da una societa’ analogica a una digitale ha profondamente cambiato il modo in cui le persone costruiscono e rappresentano la propria identita’. Oggi, la formazione dell’identità personale e sociale è fortemente influenzata dagli spazi digitali, in particolare dai social media, dai motori di ricerca e dalle app di messaggistica. L’esposizione quotidiana e costante alla comunicazione digitale cambia il modo in cui ci si percepisce, si proietta la propria immagine e si cerca riconoscimento. Il profilo personale su piattaforme come Instagram, TikTok, Snapchat o Facebook diventa una vera e propria “vetrina identitaria”, uno strumento attraverso cui la persona si definisce. Questo fenomeno, definito in letteratura come “identità frammentata”, implica una continua attività di editing e controllo dell’immagine, che può tradursi in una forma di iper-monitoraggio del sé. I nativi digitali vivono in
un sistema sociale dove la connessione è sempre possibile, e la prossimità fisica è spesso sostituita da interazioni virtuali costanti. Le relazioni non sono più necessariamente legate a un luogo specifico, ma si costruiscono e si mantengono attraverso chat, social network, videochiamate e app.
La disponibilità continua dell’altro cambia radicalmente la natura dei legami. Il fattore generazionale emerge con
chiarezza nel Rapporto Italia 2025 dell’Eurispes: tra i giovani tra i 18 e i 24 anni, il 68,5% dichiara di sentire il bisogno di
collegarsi frequentemente, il 53,3% si sente più libero di esprimersi attraverso i social network e il 50,9% afferma di sentirsi meno solo grazie all’uso di questi strumenti. Tuttavia, emergono anche segnali di disagio: il 49,7% percepisce una perdita di tempo legata all’utilizzo dei social, e il 43% riferisce una sensazione di estraneità rispetto al mondo reale. Con l’aumentare dell’età, l’intensità del rapporto con i social network tende a diminuire. Gestire contemporaneamente tanti contatti può dar vita a relazioni “liquide” caratterizzate da instabilità, reversibilità e una bassa intensità affettiva. La trasformazione delle relazioni non riguarda solo i coetanei. Anche i rapporti familiari e intergenerazionali sono toccati dalla transizione digitale. I genitori si trovano esclusi dai contesti relazionali dei figli, creando uno scollamento comunicativo. Inoltre, la mancanza di spazi pubblici e di occasioni strutturate di incontro accentua la dipendenza dai social come unico ambiente relazionale.
Mentre gli adulti tendono a utilizzare la tecnologia in modo strumentale e mediato, i giovani vivono in una sorta di simbiosi continua, che influisce sulla loro identita’, sulle relazioni e sul modo di pensare. Per colmare questa distanza, e’ fondamentale promuovere forme di educazione intergenerazionale al digitale, che valorizzino l’esperienza degli adulti e la familiarita’ tecnologica dei giovani, superando l’idea di un adattamento passivo e aprendo la strada a una vera
co-costruzione del futuro digitale. A tal riguardo, secondo il report Istat “Cittadini e ICT” (2023), in Italia il 93,5% dei giovani tra i 20 e i34 anni accede regolarmente a Internet, mentre tra le persone di 65-74 anni la percentuale scende al 53,3%. Gli adulti, cresciuti in contesti sequenziali e logico-analitici, tendono a cercare soluzioni attraverso percorsi strutturati e lineari mentre i giovani, immersi in ambienti digitali ipertestuali e asincroni, sviluppano un pensiero più reticolare e situazionale, ma anche più disabituato alla profondità e alla continuità.
Oggi, sottolinea Eurispes, il sistema tecnologico fornisce risposte immediate alla noia, eliminandola piu’ che trasformandola: l’algoritmo anticipa la noia proponendo contenuti personalizzati ma in questo modo limita l’esplorazione autonoma e il tempo dell’immaginazione. Nel 2024 gli utenti di Internet hanno passato in media circa 6 ore e 40 minuti al giorno online, di cui oltre 2 ore e 20 minuti sui social media (DataReportal). La difficolta’ di stare senza stimoli digitali porta a una vera e propria dipendenza comportamentale, a una diminuzione della soglia di attenzione e a un aumento dell’irritabilita’ nei momenti di inattivita’ o quando ci si trova disconnessi forzatamente. La quasi totalita’ degli utenti italiani utilizza lo smartphone come dispositivo principale, mentre poco più della metà utilizza anche un computer fisso o portatile; sebbene questo modello garantisca un accesso di base, riduce notevolmente la possibilita’ di partecipare a processi digitali piu’ avanzati, come l’accesso a servizi pubblici complessi come SPID o CIE, o la fruizione di contenuti professionali o formativi. I giovani italiani trascorrono in media oltre 2 ore e 20 minuti al giorno sui social media, tuttavia, solo il 18% dichiara di utilizzare Internet per attività formative complesse o per partecipazione civica.
Stefania Losito