Il numero di donne imprenditrici in Italia è il più elevato dell’Unione europea. Nel 2024 la platea delle partite Iva in capo alle donne presenti nel nostro Paese ha toccato la soglia di 1.621.800 unità, pari al 16 per cento del totale donne occupate in Italia. Seguono Francia, Germania e Spagna. Le imprese in rosa sono soprattutto al Sud: Molise, Basilicata e Abruzzo: al 30 settembre di quest’anno, se ne contavano 415.242. Sono i dati forniti dalla Cgia di Mestre, l’associazione di artigiani e piccole imprese. Nel mezzogiorno, le imprese femminili sono un quarto del totale. L’imprenditoria femminile è particolarmente presente in ambiti come sanità, istruzione, welfare, cultura e servizi alla persona, settori che stanno assumendo un peso crescente nelle economie mature. Rafforzare queste imprese significa investire in comparti ad alto valore sociale e con forti esternalità positive, spesso trascurati dalle politiche industriali tradizionali ma centrali per la coesione e la produttività complessiva. Il problema non è la mancanza di iniziativa, ma l’accesso alle risorse. Servono incentivi mirati, strumenti finanziari dedicati, servizi di accompagnamento e, soprattutto, politiche per la conciliazione tra lavoro e vita privata: non sono misure “per le donne”, ma interventi pro-crescita. Numerosi studi a livello internazionale, infatti, dimostrano come l’imprenditoria femminile possa rappresentare una chiave per incrementare l’occupazione femminile; infatti le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi maschi.
Stefania Losito
