Sale la tensione in Medioriente dopo che la Corte penale internazionale ha spiccato i suoi primi mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia e in Israele dopo il 7 ottobre 2023: 44mila i morti tra i palestinesi, Nel mirino dei giudici il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant (poi licenziato), nonché il capo militare di Hamas, Deif, che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza. Per Netanyahu, adesso, sarà difficile andare all’estero anche in veste istituzionale, dal momento che i 124 Stati parte della Cpi, che hanno aderito allo Statuto di Roma, sono obbligati ad eseguire i mandati d’arresto se un ricercato dalla Corte dovesse entrare nel loro territorio, compresi i capi di governo come in questo caso.
Immediata la reazione indignata di Israele: dall’Aja “una decisione antisemita” degna di “un nuovo processo Dreyfus”, ha urlato Netanyahu, mentre per Gallant la Corte “mette sullo stesso piano Israele e Hamas, incoraggiando il terrorismo”. La fazione palestinese ha invece apprezzato “il passo importante verso la giustizia”. Subito il presidente degli Usa, Joe Biden, si è schierato al fianco di Israele, facendo sapere di “respingere categoricamente” la decisione della Cpi, dicendosi “profondamente preoccupata” e non riconoscendo la giurisdizione della Corte “su questa questione”, mentre per il presidente argentino Milei così si “ignora il legittimo diritto di Israele a difendersi dagli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah”.
L’Italia, ha commentato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, “sostiene la Cpi” e “valuterà insieme ai nostri alleati come comportarci insieme su questa vicenda”. Mentre il collega della Difesa Guido Crosetto, pur ritenendo la decisione della Corte “sbagliata”, ha sostenuto che se Netanyahu e Gallant “venissero in Italia dovremmo arrestarli, perché noi rispettiamo il diritto internazionale”.
L’Unione europea, per voce dell’alto rappresentante per la politica estera uscente, Josep Borrell, ha invece difeso i giudici dell’Aja: la loro “non è una decisione politica, ma la decisione di un tribunale che deve essere rispettata e applicata”, ha detto, sottolineando che “la tragedia a Gaza deve finire”.
A ricordare gli obblighi dei Paesi membri è stato anche un appello del procuratore: “Contiamo sulla loro cooperazione”, ha dichiarato. Le richieste di arresto “sono state presentate a seguito di un’indagine indipendente e sulla base di prove oggettive e verificabili, esaminate attraverso un processo forense”, ha spiegato. E ha annunciato che il suo ufficio continua a indagare, viste “le segnalazioni di violenza crescente” e di altre violazioni del diritti internazionale umanitario ancora in corso a Gaza e in Cisgiordania. Israele ha rilanciato le accuse di “molestie sessuali” recentemente circolate sui media nei confronti del procuratore che ha chiesto l’arresto, definendolo “un procuratore corrotto”.
Interviene anche la Cina, che sollecita la Corte penale internazionale ad adottare e perseguire “una posizione
oggettiva”, spiega il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian. Il primo ministro ungherese Viktor Orban, il cui Paese detiene la presidenza di turno dell’Ue, ha annunciato che inviterà il suo omologo israeliano Benyamin Netanyahu per protestare contro il mandato di arresto. “Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò” Netanyahu
“a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto”, ha dichiarato pubblicamente.
Stefania Losito