Il lavoratore ha diritto ad un salario minimo che lo tenga fuori dalla una condizione di povertà e che, secondo quanto previsto dall’articolo 36 della Costituzione, sia proporzionato e adeguato ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. E’ in applicazione di questi principi, e anche della recente sentenza della Cassazione in materia di salario minimo costituzionale (2 ottobre scorso) che il Tribunale di Bari ha ritenuto inadeguata e insufficiente la retribuzione di un lavoratore (sia pure inquadrato regolarmente con Ccnl dei servizi fiduciari) e condannato il datore di lavoro ad applicare un altro trattamento retributivo e a pagare le relative differenze maturate.
Il ragionamento della giudice Agnese Angiuli si fonda sui principi affermati dalla Suprema Corte in base ai quali –
sottolineano i difensori Ettore Sbarra, Federica Romani e Leonardo Netti (Legali Lavoro Bari) – “ai fini della
determinazione del giusto salario minimo costituzionale, il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento
retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini e per mansioni analoghe”. Inoltre, “nella opera di
verifica della retribuzione minima adeguata all’articolo 36 della Costituzione, il giudice può fare anche riferimento
all’occorrenza ad indicatori economici e statistici”. Il Tribunale, dopo una articolata argomentazione, giunge alla
conclusione che “deve affermarsi la inadeguatezza della retribuzione corrisposta al ricorrente” sulla base del contratto
applicato, rispetto al parametro costituzionale”. Per determinare la retribuzione adeguata, quindi, la giudice ha preso a riferimento i contratti collettivi usualmente applicati per disciplinare mansioni identiche a quelle del lavoratore ha deciso di applicare quello per i dipendenti da Proprietari di Fabbricati che stabilisce una retribuzione che appare, “anche alla luce degli importi previsti dal legislatore per il beneficio assistenziale del reddito di cittadinanza, un
parametro, oltre che coerente, congruo e ragionevole ai fini di determinare una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato dal ricorrente e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa”.
Stefania Losito