C’è anche la moglie del direttore del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero, Michele Di Bari, 62 anni, di Mattinata (Foggia), tra le 16 persone coinvolte in un’operazione anticaporalato nel foggiano. L’operazione è stata condotta dai carabinieri e dagli uomini del Nil nel Foggiano. Due le persone finite in carcere, un gambiano e un senegalese, e tre ai domiciliari. Per altri indagati è scattato l’obbligo di firma. Dieci aziende agricole riconducibili ad alcuni degli indagati, e con un volume d’affari di 5 milioni di euro, sono state sottoposte a controllo giudiziario. La moglie di Di Bari, Rosalba Livrerio Bisceglia, di 55 anni, è socia titolare di un’azienda agricola di famiglia con sede legale a Foggia, una delle aziende coinvolte. Le indagini hanno interessato un lasso di tempo compreso tra luglio ed ottobre 2020.
Di Bari, a seguito dell’inchiesta, ha rassegnato le dimissioni che sono state accolte dal ministro Lamorgese. Lo rende noto il Viminale. “Desidero precisare che sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità – ha commentato di Bari – mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati”.
Sul fronte delle indagini, i due finiti in carcere – un 33enne gambiano e un 32enne senegalese che vivevano a Borgo Mezzanone (Foggia) – erano, secondo gli investigatori, l’anello di congiunzione tra i rappresentanti delle varie aziende del settore agricolo della zona e i braccianti che venivano da loro reclutati tra le baracche del ghetto. Alla richiesta di forza lavoro avanzata dalle aziende, i due si attivavano e reclutavano i braccianti all’interno della baraccopoli, provvedevano al loro trasporto
preso i terreni e li sorvegliavano durante il lavoro, pretendendo 5 euro per il trasporto e altri 5 euro da ogni bracciante per l’attività di intermediazione. Secondo gli accertamenti, il principale dei due reclutatori si occupava anche di dare
direttive ai braccianti sulle modalità di comportamento in caso di controlli.
“Caporali, titolari e soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato quasi perfetto – sottolineano i carabinieri –
che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal Ccnl, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia”. Le buste paga, infatti, sono risultate non veritiere, poiché vi venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica.
Stefania Losito