Non hanno ucciso gli infedeli. Li hanno torturati, mutilati, li hanno fatti soffrire sino all’ultimo negandogli anche il colpo di grazia. E’ un film dell’orrore quello che emerge dalle autopsie sui nove corpi degli italiani vittime dei terroristi in Bangladesh, effettuate dai medici legali Vincenzo Pascali e Antonio Oliva nel Policlinico Gemelli a Roma. Con coltelli e machete li hanno mutilati in più parti del corpo facendoli morire lentamente. Una morte atroce, una lunga e cosciente agonia. Su alcune salme sono state trovate tracce di proiettili ed esplosivo. Quei sette fanatici jihadisti, dipinti dalla cronaca come ragazzi istruiti e figli di papà, che venerdì hanno fatto irruzione nel bar-ristorante Holey Artisan Bakery a Dacca, si sono comportati come i peggiori serial killer, dimostrandosi degni delle procedure di morte applicate dallo Stato Islamico agli infedeli. In più ci hanno aggiunto del sadismo: le decapitazioni dell’Isis, al netto di eventuali torture durante la prigionia, sono più “umane” della morte lenta, che pure i fanatici dell’Islam non disdegnano quando la condanna a morte prevede la cremazione delle vittime vive o la lapidazione.
Le salme di Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Rivoli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti sono state restituite alle famiglie.
Maurizio Angelillo