Si chiama Stretch e sostituisce il piccolo tra i banchi svolgendo le sue attività
Stretch è un robot che potrebbe rivoluzionare il modo di andare a scuola. Anzi, il modo di non andare a seguire le lezioni. L’invenzione consente a un bambino malato di vedere, ascoltare e parlare con l’insegnante e i compagni come se fosse presente a scuola.
Progettato per controlli a distanza dei medici negli ospedali o da manager aziendali per collegarsi a strutture in remoto, questo robot di telepresenza ora potrebbe arrivare anche nelle scuole per aiutare bambini con malattie croniche e invalidanti.
Oltre a prendere parte alle lezioni come se fossero in classe, i bambini possono chattare con gli amici e unirsi ai loro coetanei per il pranzo, il coro o la ricreazione.
A credere fermamente nel progetto e a portarlo avanti già da alcuni anni, prima della pandemia, è la ricercatrice Veronica Ahumada che studia informatica sanitaria e interazioni uomo-robot presso l’Università della California (UC). Da bambina è stata costretta, a causa di una malattia congenita, a mesi di assenza scolastica e tanta sofferenza.
Dopo aver ottenuto un finanziamento, la ricercatrice dal 2020 collabora con la robotica sanitaria Laurel Riek presso l’UC San Diego per progettare una macchina con caratteristiche su misura per i bambini, inclusi altoparlanti in grado di trasmettere il suono attraverso il frastuono di un’aula, un “braccio” per raggiungere e afferrare e un’interfaccia utente operabile da bambini. Nel corso del prossimo anno, sulla base degli studi di Ahumada, lei e Riek stabiliranno le caratteristiche di cui un bambino ha bisogno per sentirsi presente e impegnato nell’apprendimento. Gli studenti a distanza testeranno i loro prototipi.
“Questi ragazzi sono i professionisti”, dice Ahumada. Molto prima della pandemia, prima che molte famiglie pensassero alla scuola virtuale, “erano già i pionieri”. “Non abbiamo mai avuto nella storia del mondo l’opportunità per i bambini con queste gravi condizioni mediche di andare a scuola con i loro coetanei”, assicura Ahumada. I bambini che utilizzano la tecnologia l’hanno definita “cambiamento di vita” grazie alle connessioni sociali che consente. Ma i ricercatori non hanno ancora dimostrato che questi strumenti aiutano accademicamente, socialmente o emotivamente, dice. E la tecnologia stessa ha dei limiti: i robot non sono stati progettati per i bambini e non
funzionano bene nelle scuole con Wi-Fi irregolare. Ahumada sta “cercando di capire come superare questi ostacoli”. Lei e i suoi colleghi hanno sondato come decine di bambini con malattie diverse, insieme alle loro famiglie, compagni di classe e insegnanti, interagiscono con i dispositivi. Inoltre, i ricercatori stanno pianificando di unire le forze con i medici per definire se i benefici che i bambini riportano negli studi si traducano in guadagni in termini di salute mentale, voti o altre aree misurabili.
Angela Tangorra