Ha ammesso di aver fatto redigere una falsa multa negando però di essere consapevole che stesse aiutando il figlio di un boss a crearsi un alibi per un omicidio per mafia. Credeva, invece, che la multa “servisse a coprire un tradimento coniugale”. Domenico D’Arcangelo, 53 ani, comandante attualmente sospeso della Polizia locale di Sammichele di Bari, si è difeso per circa un’ora davanti al gip, durante l’interrogatorio di garanzia a seguito dell’arresto per falso e corruzione con aggravante mafiosa, nell’ambito dell’inchiesta sul duplice agguato mafioso che il 24 settembre 2018 causò la morte di Walter Rafaschieri e il ferimento del fratello Alessandro.
Stando all’ipotesi accusatoria, sostenuta dal pm Fabio Buquicchio, D’Arcangelo avrebbe aiutato Giovanni Palermiti, figlio del boss Eugenio, tra gli esecutori materiali dell’omicidio, a costruire un alibi. Avrebbe cioè indotto una sua vigilessa a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, una multa per guida contromano, per attestare la presenza di Palermiti a Sammichele nel giorno e nell’ora del delitto. In cambio, D’Arcangelo avrebbe ricevuto un telefono Iphone del valore di 800 euro e una somma di denaro. Circostanza, quest’ultima, negata nell’interrogatorio. Il comandante, assistito dall’avvocato Claudio Solazzo, ha detto di aver “sbagliato, ma non avevo assolutamente idea di cosa stessi coprendo, ne’ che stessi facendo un ‘favore’ al figlio di un boss mafioso”. Ha spiegato di aver “fatto un favore ad un amico”, un commerciante che avrebbe fatto da tramite tra Palermiti e il comandante, credendo appunto che quella multa servisse a coprire un tradimento. Gli altri arrestati, tra i quali i presunti esecutori materiali del delitto, Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Anna Piscopo