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PALATOUR

“Mi chiamo Matteo Messina Denaro”: il quasi tentativo di fuga, l’orologio da 35 mila euro e i dettagli delle indagini che hanno portato alla cattura del boss

I magistrati: usata una strategia classica, senza pentiti o soffiate anonime

Ha provato una timida fuga, più un allontanamento, il boss Matteo Messina Denaro quando ieri, nella clinica di Palermo dove è stato arrestato, aveva capito di essere braccato. Ma il tentativo è stato del tutto vano anche perché, ormai, la struttura era completamente circondata da decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto.

Così si è arreso senza opporre resistenza al carabiniere che lo ha fermato. A lui avrebbe detto, sembra con un pizzico di arroganza, “Mi chiamo Matteo Messina Denaro”.

È finita così, dopo 30 anni, la latitanza di uno dei boss più pericolosi di Cosa Nostra. Le immagini dell’arresto ce lo mostrano indossare un montone griffato, un cappello e  al polso un orologio da 35 mila euro.

Sarebbe andato in clinica per una sessione di chemioterapia dopo essere stato operato per un tumore un anno fa. Faceva finta di chiamarsi Andrea Bonafede, geometra. Con lo stesso nome aveva anche ricevuto tre dosi di vaccino anti Covid come persona fragile.

“Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica” hanno detto i pm, che hanno anche sottolineato come si sia trattato di un’indagine tradizionale. Nessun pentito, quindi, così come nessuna soffiata anonima. Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all’arresto del boss Bernardo Provenzano, cioè prosciugando l’acqua attorno al latitante, eliminando la rete dei favoreggiatori.

Tra di loro, naturalmente, tanti parenti, che alla fine hanno commesso l’errore decisivo. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del boss. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del Ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, gli inquirenti sono riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha attirato subito l’attenzione degli inquirenti: Andrea Bonafede, che sarebbe il parente di un antico favoreggiatore di Messina Denaro.

Un anno fa avrebbe subito un intervento al fegato, ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse una falsa identità è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede, per ieri, ha infine fatto scattare il blitz.

Messina Denaro sarebbe stato portato a Pescara. L’ipotesi più accreditata, come riportato da alcuni quotidiani, è che il boss venga detenuto nel carcere dell’Aquila poiché è una struttura di massima sicurezza, ha già ospitato personaggi di spicco e anche perché nell’ospedale del capoluogo abruzzese c’è un buon centro oncologico.

Per gli stessi motivi, in un primo momento, si era vociferato che la sede di detenzione potesse essere Parma, dove furono reclusi anche gli altri boss di Cosa Nostra Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Gianvito Magistà

 
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