Se proveniente da coltivazioni dedicate, non equivale a un disboscamento: in genere nasce in vivai appositi con colture dedicate
Sono due milioni gli abeti rossi sacrificati ogni anno per festeggiare il Natale. Arrivano soprattutto da Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Piemonte, un giro d’affari di 350 milioni di euro l’anno. La gran parte viene segata alla base asportando le radici (più comodi in casa ma irrecuperabili), altri vengono venduti con la zolla di terra ma difficilmente resistono a gennaio per via del riscaldamento acceso in casa e di condizioni climatiche proibitive per
loro. Ormai, però, questi alberi sono fatti crescere appositamente e non abbattuti in modo selvaggio.
Stefano Raimondi, responsabile per la biodiversità di Legambiente, spiega: “Il periodo natalizio porta con sé, oltre che atmosfere calde, luci, tradizioni, anche una domanda sempre più urgente: come festeggiare senza pesare eccessivamente sull’ambiente? Tra i simboli più iconici c’è l’albero di Natale, che però comporta alcuni impatti ecologici non trascurabili. Un albero naturale, proveniente da coltivazioni dedicate, non equivale a un disboscamento: in genere nasce in vivai appositi con colture dedicate. Durante la crescita assorbe Co2 e contribuisce alla biodiversità locale. Se acquistato da produttori certificati, supporta filiere rurali sostenibili”.
Accanto agli abeti che decorano le case degli italiani, ci sono anche quelli delle piazze cittadine, come quello in piazza Venezia a Roma (il famosissimo ‘Spelacchio’ ad esempio, ribattezzato così nel 2017 perché era arrivato decisamente malconcio) oppure quello che dalle foreste italiane arriva ogni anno ad abbellire piazza San Pietro. Più che due alberi due vecchietti: Spelacchio quando fu abbattuto aveva 70 anni, mentre per San Pietro l’età media dell’albero sacrificato ogni anno è di 60-100 anni. Certo, il loro legno poi viene riciclato per iniziative benefiche, ma forse per loro sarebbe stato più sereno morire in famiglia nel bosco.
Stefania Losito
