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Sanremo è stato il festival della libertà

La libertà della musica, di Sabrina Ferilli di fare un non monologo, dei cantanti, libertà nel look e la libertà di dire: porto sul palco ciò che sono nella vita

Michele Bravi ha ringraziato Amadeus durante la serata finale del festival dicendo che era grato di essere lì perchè “c’è voglia di incontrare il pubblico e raccontare la libertà individuale che ciascuno di noi porta su questo palco”. Amadeus ha subito preso la palla al balzo evidenziando che in questa edizione del festival ognuno degli artisti in gara, degli ospiti, delle persone che hanno partecipato al Festival ha portato la libertà di essere se stesso, come è nella vita.


A pensarci bene è andata proprio così. Fiorello ha portato la libertà di esserci solo per una sera perchè non se la sentiva di rifare tutte le serate del festival. Amadeus è un amico, ha capito. Fiore ha ribadito che dopo lo sforzo fatto lo scorso anno, in una edizione difficile a causa della pandemia e fatta contro tutto e tutti, preferiva continuare a vedere le puntate dal divano di casa, con il plaid e la tisana di tiglio in mano.


La libertà degli artisti in gara di portare ognuno il proprio genere, a dispetto della liturgia del festival: c’era il pop, il rock, la melodia, l’autotune, insomma, tutti i generi che il pubblico ascolta. Nessuna delle canzoni è sembrata fuori luogo, eppure erano tutte molto diverse.

La libertà l’ha vissuta Ornella Muti, facendo a suo modo la valletta speciale per Amadeus, con la sua timidezza e il suo nervosismo più volte ammesso. La libertà di Lorena Cesarini di commuoversi sul palco più importante d’Italia, uno dei più importanti al mondo, parlando del razzismo a modo suo, sentendosi libera di mostrare la sua fragilità e le sue lacrime.

E’ stato il festival della libertà di Achille Lauro di non essere per forza come Achille Lauro, ma di viversi un festival “normale”, a parte la prima esibizione con un battesimo che per lui aveva un significato speciale e non aveva nulla a che fare con blasfemia e discorsi del genere. Lauro ha scelto di vivere un festival più semplice dei precedenti, senza rose che trafiggono il petto e sangue che cola dagli occhi come l’anno scorso.

Drusilla ha scelto la libertà di raccontarsi e mandare un messaggio sulla unicità, regalando una nuova prospettiva di vedere le cose e con il suo parlato minimal le sue battute sono già nella storia del festival. Geniale. Bravissima e libera Maria Chiara Giannetta, attrice, che non fa un monologo impegnato perchè è una attrice, ma gode la libertà di portare un dialogo molto pop tra due innamorati, con Maurizio Lastrico, con cui il botta e risposta è fatto tutto di versi di canzoni.

Sabrina Ferilli è stata la sua libertà di dire le cose come le sono venute in mente, con la sua spontaneità e la scelta di non affrontare un problema dicendo “ma perchè devo parlare per forza di un problema che magari io non ho e devo salire sulle palle alle persone?”.

Jovanotti la libertà l’aveva cantata qualche anno fa e ha Sanremo l’ha vissuta scegliendo di sentirsi libero di esserci all’ultimo minuto ed essere libero di andare sul palco ma non per cantare il suo singolo, per amicizia. Senza prendere un centesimo. La libertà dei vincitori del festival di cantare la canzone di tutti, che racconta l’insicurezza di ognuno di noi di non essere all’altezza di una storia d’amore. La libertà di Blanco che corre ad abbracciare la mamma dopo la vittoria, che dice “voglio diventare come Gianni Morandi”. La libertà di Mahmood di non gioire per la vittoria, di sentirsi emotivamente bloccato per aver battuto Elisa, con cui ha duettato, e Gianni Morandi.


Liberi sono stati tutti i cantanti in gara, anche nel look. Come Giovanni Truppi che canta in canottiera, come Mahmood che indossa la gonna lunga, bellissima, e il reggicalze, accessorio che gli uomini di un tempo usavano; liberi come Blanco che sopra la preziosa blusa in chiffon indossa un mantello che Amadeus distrugge durante la prima serata.


Già, Amadeus, il motore e il cuore del festival, l’uomo capace di credere davvero fino in fondo nella sua idea, difenderla fino alla fine del progetto, libero di essere se stesso, di fare un festival solo con le canzoni in gara, senza ospiti internazionali ma con la spontaneità e la semplicità che hanno messo ognuno a proprio agio. Soprattutto lo spettatore a casa.


E infatti ci siamo riconosciuti nelle canzoni in gara. Lo scorso anno ci eravamo riconosciuti nel suono incazzato di “zitti e buoni” perché eravamo arrabbiati, non vedevano ancora la luce in fondo al tunnel. Quest’anno cantiamo “apri tutte le porte fai entrare il sole”, sogniamo i boschi che ci fa respirare Elisa nella sua canzone e immaginiamo il cielo di perle da regalare a chi ci farà (ri)sentire i brividi.

Angela Tangorra

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