Non voglio dare soldi ai poveri, voglio dare lavoro. E’ durato mezz’ora l’intervento della presidente del consiglio Giorgia Meloni al Congresso della Cgil. Un applauso, seppur breve, lo strappa ricordando l’assalto dei manifestanti di destra alla sede del sindacato, giudicandolo “imperdonabile”. “Credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse alle nostre spalle e invece in questi mesi, purtroppo, mi pare che siano sempre più frequenti segnali di ritorno alla violenza politica, con l’inaccettabile attacco degli esponenti di estrema destra alla Cgil e le azioni dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br”, commenta.
Poi va dritta (e dura) sui temi cari al sindacato del segretario Landini: salario minimo e reddito di cittadinanza. “I salari sono bloccati da 30 anni – dice Meloni – dato scioccante perché l’Italia ha salari più bassi di prima del ‘90 quando non c’erano ancora i telefonini. In Germania e Francia sono saliti anche del 30%. Significa che le soluzioni individuate sinora non sono andate bene – la stoccata al centrosinistra – e che bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica, perché sono le aziende a creare ricchezza mentre allo Stato tocca il dovere di crea le regole, la povertà non si abolisce con i decreti”.
“Il reddito di cittadinanza ha fallito il suo obiettivo – continua dal palco – abbiamo deciso per una doverosa abolizione perché non credo che chi è in grado di lavorare debba essere mantenuto dallo Stato”. Ribadisce il concetto già spiegato in aula durante le interrogazioni parlamentari, e in risposta alla Schlein: “Estendere la contrattazione collettiva”.
Sulla riforma del fisco, Meloni chiarisce che bisogna “consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l’efficienza della struttura delle imposte, riduca il carico fiscale e contrasti l’evasione, che semplifichi gli adempimenti e crei un rapporto di fiducia fra Stato e contribuente”.
Meloni strizza più volte l’occhio a Landini e accarezza i presenti con un atteggiamento sereno, quasi materno. “Rivendicate le vostre istanze nel confronto col governo: a volte saremo d’accordo, altre no, ma troverete ascolto senza pregiudizi. E’ uno degli impegni che mi sono presa con gli italiani e che intendo portare avanti”, dice. “Su molte cose si può trovare condivisione su altre è più difficile, ma ciò non significa non tentare il confronto. Io non considero finito il confronto tra sindacato e governo, io lo considero produttivo anche quando non siamo d’accordo”. “Bisogna avere l’umiltà di non partire dal pregiudizio e io non parto perché banalmente aspiro a rappresentare” tutti gli italiani.
Però, spiega lei stessa, ha avuto il coraggio di andare al Congresso del sindacato quasi trent’anni dopo dalla visita di un capo di governo, l’ultimo fu Prodi nel ’96. E, quando va via accompagnata da Landini, passa dal portone principale, prendendosi fischi e proteste con i peluche simbolo della protesta per la gestione del naufragio di Cutro. E accetta con ironia persino una scritta alla Chiara Ferragni “Pensati sgradita”. “Ringrazio tutta la Cgil dell’invito. Anche chi mi contesta con slogan efficaci. Ho visto ‘pensati sgradita’… Non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica…”. E’ l’unica stoccata che Giorgia Meloni si concede, nell’avvio del suo discorso. Ancora più asciutta e concreta la scelta di iniziare a parlare, senza altri commenti, quando dalla platea ancora si cantava “Bandiera rossa”, intonata mentre il presidente del Consiglio si stava avvicinando al podio dell’oratore. “Mi sento fischiata da quando ho 16 anni. Potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo”, ha sorriso la premier uscendo, comunque, tra timi applausi.
Stefania Losito