“La polizia morale è stata abolita”. Restano sibilline parole del procuratore generale iraniano ieri, alla vigilia dell’ondata di nuove proteste che oggi vedono scendere in piazza gli studenti e gli attivisti. Sono parole che rimbalzano in tutto il mondo e appaiono come un segnale di apertura. Ma Teheran tace tutto il giorno e nessuno conferma che la durissima forza morale, nelle cui mani è finita a manganellate anche la vita di Mahsa Amini, sia stata soppressa. Lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani chiede cautela nel commentare la vicenda.
“La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l’ha creata”, ha detto il procuratore Mohammad Jafar Montazeri rispondendo ad una domanda sul perché il famigerato corpo fondato da Ahmadinejad nel 2006, non si veda più in giro per le strade. Parole che, oltre a non essere confermate dal regime, lasciano aperti molti dubbi e interpretazioni distanti da una volontà dell’Iran di cambiare passo sulla repressione. Al Jazeera e la tv iraniana Al-Alam si limitano a commentare che non c’è nessuna conferma all’annuncio mentre sui social si rincorrono post di attivisti e osservatori secondo cui si potrebbe anche trattare solo di un diversivo, alimentato dalla propaganda, per calmare la tensione.
Come l’annuncio, dato ieri, che le autorità di Teheran stanno esaminando il tema del velo obbligatorio, miccia da cui sono partite le proteste dopo l’uccisione della ragazza curda. Il Parlamento e il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale hanno detto che stanno studiando e lavorando alla questione e che faranno sapere i risultati entro breve, nel giro di un paio di settimane, ma senza lasciare intendere in che direzione.
Sulla questione della polizia morale, non è da escludere che le parole del procuratore possano anche essere interpretate come l’annuncio solo di una revisione e riorganizzazione del corpo in un momento in cui ci sarebbero attriti e divisioni tra le autorità del Paese.
La polizia morale venne istituita sotto la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad per “diffondere la cultura del pudore e dell’hijab”. Le unità sono state istituite dal Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale dell’Iran, oggi guidato dal presidente Ebrahim Raisi. Hanno iniziato i loro pattugliamenti nel 2006 per far rispettare il codice di abbigliamento che richiede anche alle donne di indossare abiti lunghi e vieta pantaloncini, jeans strappati e altri vestiti ritenuti immodesti.
Un codice che Mahsa Amini aveva violato, indossando l’hijab ma lasciando fuori ciocche dei suoi capelli. Quanto basta per essere punita, secondo la denuncia della sua famiglia, dalla polizia che l’ha ridotta in fin di vita parlando solo di
problemi di salute della giovane dopo la sua morte per le percosse. Dal quel giorno un’ondata di mega manifestazioni,
represse nel sangue, ha attraversato il paese, in particolare i grandi centri urbani e le zone curde, con un bilancio di almeno 448 persone uccise, tra cui 60 di eta’ inferiore ai 18 anni e 29 donne, secondo l’ultimo rapporto dell’ong Iran Human Rights (Ihr) con sede a Oslo. E gia’ 14 mila arresti per le Nazioni Unite.
Stefania Losito