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Gaza, Hamas non ratifica l’accordo con Israele e slitta la tregua. Usa: “Mancano soltanto dettagli logistici”

Hamas non ratifica l’accordo con Israele e slittano tregua e rilascio degli ostaggi a Gaza, inizialmente previsti per oggi. Non avverranno prima di domani.

“Il ritardo non deriva da una rottura dei colloqui, ma piuttosto dalla necessità di risolvere le questioni amministrative, che sono in fase di risoluzione”, ha assicurato una fonte israeliana citata dai media. “Non c’è motivo – ha aggiunto – di preoccuparsi”. Anche il ministro Israel Katz – alto esponente del Likud, il partito del premier Benyamin Netanyahu – ha detto alla Radio Militare che “al momento l’ipotesi è che l’accordo sarà attuato”. “Va ricordato – ha aggiunto – con chi stiamo lavorando: Sinwar (il capo di Hamas, ndr) è un uomo pazzo che ha dato ordini di uccidere, stuprare, abusare”.

L’amministrazione Biden spiega che le parti elaboreranno “gli ultimi dettagli logistici”, come ha detto ieri sera in una dichiarazione la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano Adrienne Watson. “L’accordo è stato concordato e resta concordato. Le parti stanno elaborando i dettagli logistici finali, in particolare per il primo giorno di implementazione – ha affermato Watson – Crediamo che nulla debba essere lasciato al caso quando gli ostaggi iniziano a tornare a casa. Il nostro obiettivo primario è garantire che vengano riportati a casa sani e salvi. Tutto ciò è sulla buona strada e speriamo che l’implementazione inizi venerdì mattina”.
Un alto funzionario statunitense ha spiegato che si è reso necessario più tempo per appianare i dettagli relativi alla
posizione e al percorso di ciascuno degli ostaggi, nonché alla logistica del loro spostamento.

L’esercito israeliano ha stamani intanto confermato di aver arrestato il direttore dell’ospedale Shifa di Gaza, Muhammed Abu Salmya. Secondo la radio militare e’ stato fermato mentre cercava di raggiungere da Gaza City la zona meridionale della striscia, passando dal corridoio umanitario. L’emittente ha aggiunto che viene adesso
interrogato. Ieri il portavoce militare israeliano aveva sostenuto che, sotto all’ospedale Shifa, Hamas aveva approntato
”un importante centro nevralgico” per lo svolgimento delle sue attivita’ militari.

Hamas aveva annunciato che lo stop ai raid israeliani sarebbe iniziato giovedì alle 10 del mattino (le 9 in Italia) anche se
mancavano conferme ufficiali da parte del governo di Gerusalemme. Il ministro degli Esteri Eli Cohen aveva solo fatto
sapere che “secondo il piano concordato il processo del rilascio dei primi ostaggi” sarebbe iniziato anch’esso giovedì. Ore dopo, il consigliere della sicurezza nazionale di Israele, Tzachi Hanegbi, ha però reso noto che l’inizio della liberazione degli ostaggi “non avverrà prima di venerdì”, assicurando che “i contatti per il rilascio dei nostri prigionieri procedono e avanzano costantemente”, ma senza aggiungere altro. Secondo fonti israeliane a Haaretz, però, Hamas non ha ancora ratificato l’accordo raggiunto attraverso il Qatar, né ha fornito a Israele l’elenco dei cittadini israeliani che intende rilasciare. Per questo motivo, l’attuazione dell’accordo è stata rinviata di almeno un altro giorno.
La “pausa nei combattimenti”, come la definisce Israele, è la cornice nella quale si concretizzerà il rilascio degli ostaggi
israeliani (bambini e donne) in cambio dei detenuti palestinesi (anche in questo caso donne e minori). Lo scambio – secondo quanto si è appreso da fonti di sicurezza egiziane – dovrebbe avvenire attraverso il valico di Rafah, tra l’Egitto e la Striscia. Questa è considerata dalle parti come la “prima fase” dell’intesa, che verte sulla liberazione di circa 10 rapiti al giorno. Ma i 4 giorni di tregua potrebbero diventare 5 se sarà possibile – come prevede l’accordo raggiunto con la mediazione del Qatar, dell’Egitto e degli Usa – scambiare ulteriori 50 ostaggi nelle mani di Hamas e delle altre fazioni palestinesi a fronte di altri 150 detenuti palestinesi, portando così a 100 il numero complessivo dei rapiti rilasciati contro 300 che si trovano nelle carceri israeliane. Questa sarebbe la “seconda fase”. L’accordo stabilisce infatti la possibilità di estendere la “pausa nei combattimenti” di alcuni ulteriori giorni, se necessario, in base a una decisione del premier Benyamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant. Il ministero della Giustizia israeliano ha già individuato 300 palestinesi candidabili per essere liberati, escludendo quelli che si sono macchiati del reato di omicidio. Hamas, nell’ipotesi che lo scambio vada avanti, deve individuare a sua volta gli altri 50 ostaggi da rilasciare che siano sotto il suo controllo o quello di altre fazioni, a cominciare dalla Jihad palestinese.
Fonti di Hezbollah hanno fatto sapere che pur non avendo partecipato ai negoziati per la tregua si uniranno “alla cessazione dei combattimenti”. Mentre in Qatar è arrivato il capo del Mossad David Barnea per definire gli ultimi dettagli dell’accordo e assicurarsi che sia attuato.
L’accordo è stato salutato con favore dal mondo arabo, a cominciare dal presidente palestinese Abu Mazen che ha chiesto al tempo stesso “soluzioni più ampie” nel conflitto. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto che le Nazioni Unite “mobiliteranno tutte le loro capacità per sostenere l’attuazione dell’accordo e massimizzare il suo
impatto positivo sulla drammatica situazione umanitaria a Gaza”.

Intanto gli attacchi israeliani su Gaza sono continuati durante la notte. I media palestinesi – citati dal Guardian – riferiscono che aerei e artiglieria israeliani hanno colpito la città meridionale di Khan Younis in almeno due ondate e che 15 persone sono state uccise. Sono stati segnalati attacchi anche in diverse altre parti di Gaza, tra cui il campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza City, e il campo di Nuseirat nel centro di Gaza. Israele ha detto ai palestinesi di spostarsi a sud per
sicurezza, ma ha continuato a colpire aree come Khan Younis. Ieri circa 160 palestinesi – tra cui 50 appartenenti ad una
stessa famiglia – sarebbero stati uccisi. Wafa, l’agenzia di stampa palestinese, ha detto che 81 persone sono state uccise
dalla mezzanotte di mercoledì quando le loro case sono state prese di mira nel centro della Striscia. Si ritiene che altri 60 siano morti dopo i bombardamenti a Jabaliya e dintorni. Riyad al-Maliki, il ministro degli Esteri palestinese, ha
detto durante una visita a Londra che 52 delle vittime di Jabaliya appartenevano alla stessa famiglia Qadoura. “Ho
l’elenco dei nomi, 52. Sono stati completamente spazzati via, dai nonni ai nipoti”, ha detto.

I morti a Gaza – secondo il ministero della Sanità di Hamas che non distingue tra miliziani e civili – sono arrivati a 14.532 con 35.000 feriti e 7.000 dispersi.

Stefania Losito

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