Raffaele Fitto, quando nel 2004 era presidente della Regione Puglia, non causò alcun danno all’ente nell’utilizzo del Fondo del Presidente dal momento che le scelte sulle spese furono compiute nell’ambito dell’esercizio di un potere discrezionale, e quindi in modo non rimproverabile. E’ la sentenza dei giudici della Corte di Appello civile di Bari che, in sede di giudizio di rinvio dopo un annullamento della Cassazione, hanno rigettato la domanda risarcitoria della Regione. La vicenda risale a quando Fitto, attualmente europarlamentare di Fratelli d’Italia, era presidente, ed è uno stralcio del processo Fiorita che riguardava l’utilizzo dei 189mila euro del fondo di rappresentanza del governatore.
“Risulta ormai incontrovertibile – si legge nella sentenza – il fatto storico che l’onorevole Fitto avesse utilizzato somme del fondo di rappresentanza per realizzare finalità sia pubbliche sia indebitamente private”, ma poiché il tipo di abuso d’ufficio contestato a Fitto (dichiarato comunque già anni fa prescritto nel giudizio penale) non è più penalmente rilevante a seguito di una modifica normativa, in quanto “la gestione del Fondo del Presidente era connotata da margini di ampia discrezionalità”, di conseguenza non è possibile riconoscere un danno da risarcire.
Secondo la Regione, assistita dall’avvocato Massimo Leccese, al danno patrimoniale si sarebbero dovuti aggiungere anche altri 70mila euro di danni non patrimoniali per aver “sperperato denaro pubblico a fini palesemente extraistituzionali”. Ciò anche “al fine di alterare, in favore suo e della sua parte politica, le regole di sana competizione democratica tra i partiti in vista delle imminenti elezioni regionali, arrecando per tale via un grave danno anche di immagine alla Regione Puglia”. Secondo la Corte, a proposito del danno patrimoniale, “dopo la sopravvenuta eliminazione dalla condotta dell’onorevole Fitto dell’illiceità penale, appare dubbia l’individuazione di un residuo fatto ingiusto rilevante, non potendo ritenersi che l’indebita realizzazione di interessi privati (elettoralistici) insieme a quelli pubblici costituisca di per sè da sola un illecito civile”. Inoltre “occorrerebbe provare che le attività finanziate attraverso la condotta dell’onorevole Fitto riguardassero, ad esempio, delle spese inutili o comunque non prioritarie rispetto a spese più urgenti, oppure non equilibrate quanto ai profili del rapporto costi-benefici o qualità-prezzo o disponibilità di migliori soluzioni alternative: nessuno di tali profili è stato allegato, o tanto meno dimostrato, dall’ente”.
Quanto al danno non patrimoniale “manca la prova di tale danno effettivo perché le elezioni regionali del 2005 furono vinte dal candidato del centrosinistra, Nichi Vendola, così rendendo evidente il fatto che la sperequazione di mezzi non abbia svolto alcun ruolo inquinante della competizione, e tanto meno del suo risultato elettorale”.
I difensori di Raffaele Fitto “sottolineano con soddisfazione la qualità della decisione della Corte, che pone la parola fine su un’accusa che si protrae da diciassette anni e che, così valutata, riconosce, ulteriormente, la correttezza con la quale l’onorevole Fitto ha amministrato la cosa pubblica, durante il suo mandato di rappresentante regionale”. “Non vi fu illiceità nella gestione del fondo di rappresentanza – evidenziano i difensori – dal momento che le scelte furono tutte compiute nell’ambito dell’esercizio di un potere discrezionale, e quindi in modo esente da rimproveri. Inoltre – aggiungono i legali – la Corte ha anche ritenuto come le iniziative ritenute meritevoli di sostegno regionale non siano apparse ‘inutili o comunque non prioritarie rispetto a spese più urgenti, oppure non equilibrate quanto ai profili del rapporto costi-benefici o qualità-prezzo o disponibilità di migliori soluzioni alternative’, anche perché la Regione sul punto nulla aveva dedotto, e tantomeno provato”.
Stefania Losito