Niente porto d’armi se i familiari sono inaffidabili. E’ il principio sancito dal trabunale amministrativo regionale di Bari, secondo cui “il possesso, la detenzione e il porto d’armi non costituiscono un diritto, bensì un’eccezione al generale divieto di andare armati”. Il Tar Puglia ha emesso una sentenza rigettando il ricorso di una donna residente nella provincia, alla quale nel maggio 2018 la Prefettura aveva revocato il porto d’armi dopo un procedimento penale nei confronti del marito e del figlio minorenne, risalente al 2014, per l’uccisione di un cucciolo di cinghiale “con modalità cruente”, investendolo con un fuoristrada durante una battuta di caccia sulla Murgia e poi “finendolo con numerose coltellate”. La Prefettura, valutata la “carenza della piena affidabilità, tanto più che è emersa la pregressa detenzione di ben 24 fucili da caccia”, aveva quindi disposto il “divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti”. Per il Tar “nel caso di specie vi è pericolo di utilizzo improprio o abuso delle armi, da parte della stessa o di altri familiari conviventi, per l’endemica carenza dell’affidabilità del contesto familiare”.
Secondo i giudici amministrativi quel provvedimento è “legittimo”, perché “va sempre considerato il peculiare contesto
socio-familiare”. “Nelle relazioni familiari – si legge nella sentenza – può ritenersi sussistente un pericolo di abuso,
qualora il titolare di una licenza conviva con un soggetto cui già sia stata vietata la detenzione o il porto delle armi,
perché il legame familiare e la convivenza comportano imprescindibili reciproci condizionamenti. Pertanto, il rilascio
di un provvedimento favorevole in materia di armi e munizioni postula la convergenza di un triplice ordine di fattori, che devono essere cumulativamente riscontrabili: condotta personale irreprensibile; equilibrio psico-fisico; tranquillità e trasparenza dell’ambiente familiare e sociale”.
Stefania Losito